Il 27 febbraio 1945 un centinaio di militi fascisti entrarono a Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia, e presero, fra la popolazione inerme, 22 ostaggi da fucilare per una rappresaglia. La colonna fascista venne però investita dal fuoco delle armi dei partigiani i quali, pur combattendo in condizioni estremamente sfavorevoli, ebbero la meglio, infliggendo agli avversari una dura sconfitta.
Caddero i partigiani Leo Morellini, Piero Foroni e Luigi Bosatelli e con loro morì anche uno dei civili in ostaggio, Genesio Corgini.
Ho presenziato ieri, 27 febbraio 2017, alla commemorazione del 72° anniversario della battaglia di Fabbrico in rappresentanza dell’Assemblea legislativa.
È un dovere commemorare dal latino cum+memorare. Cum, ovvero con, indica che non stiamo celebrando un ricordo privato, ma pubblico; non un ricordo per singoli, ma quello di una collettività; non il ricordo di un individuo, ma di un popolo intero. Memorare è poi un’azione più profonda di quella che abitualmente chiamiamo ricordo. Memorare rimanda a una narrazione, che fonda il senso del nostro stare insieme. E non è certo un ricordo che obbedisce, che tranquillizza o riappacifica, ma un ricordo inquietante, sovversivo, che strattona le nostre coscienze di fronte alla tentazione di accettare che ormai è cosa passata e che dobbiamo guardare avanti. È un ricordo infatti che pretende di non essere dimenticato o fatto scolorire, pena la perdita di senso del nostro essere cittadini.